Questa non è una storia qualunque.
È una storia di caduta e di rinascita.
È una storia vera.
Per anni ho lavorato senza sosta, convinto che fosse normale. Poi, accade qualcosa di straordinario, e mi fermai. Nel silenzio che seguì, compresi che la mia vita non mi apparteneva e che era giunto il momento di cambiare. Condivido questa storia perché è quella che avrei voluto leggere allora, quando barcollavo nel vuoto, senza guida né risposte.
Questo è il Capitolo 2. Qui puoi cominciare il cammino dall’inizio.
Il giorno del mio risveglio, che cambiò la mia vita per sempre, iniziò nello stesso modo in cui venni al mondo: sotto shock, urlando a squarciagola di dolore finché non avevo più aria nei polmoni.
Lo so, è un'immagine lontana da quella tipica del guru, un maestro spirituale che raggiunge l'illuminazione e la pace interiore, ma per me è andata così.
Era il mattino dopo l’equinozio di primavera, il giorno in cui la luce inizia a vincere sul buio, noto in molte culture come simbolo di rinascita, rinnovamento e nuovi inizi.
Da uomo di scienza, sempre razionale — così mi illudevo di essere — non ho mai dato peso a questi affari “simbolici” a cui crede la gente. Oggi, a tre anni da quel fatidico giorno, non posso fare a meno di sorridere ripensando alla mia ingenuità di allora, come un genitore guarda con tenerezza il proprio bimbo che tenta, senza successo, di allacciarsi le scarpe.
L’equinozio di primavera non è una mera tradizione culturale, una festa religiosa, o un evento astronomico curioso. È un giorno sacro, che rappresenta un cambiamento importante sul nostro pianeta. È un giorno diviso in due, dodici ore di luce e dodici di buio.
Il giorno come la notte.
Il buio come la luce.
È il giorno che segna il passaggio dal freddo e dal buio dell’inverno alla luce e al tepore della primavera. È la rinascita della vita dopo la morte, la speranza dopo la depressione.
La luce dopo il buio.
Poi, avviene una svolta. Le giornate, piano piano, iniziano ad allungarsi, e per la prima volta dopo lunghe notti oscure, c’è più luce che buio. Il tepore del sole sussurra alle piante, che iniziano a germogliare, riempiendo di colori vivaci i verdi prati. Gli animali escono dal letargo, sbucando fuori dalle tane.
Il giorno dopo l’equinozio il mondo inizia a cambiare, rinasce e si rinnova.
Ciò che è fuori, è dentro.
Ciò che è dentro, è fuori.
Era mattina, sul presto, le luci dell’alba non avevano ancora fatto visita alla stanza dove dormivo. Aprii gli occhi e mi svegliai senza sforzo, come se fossi stato in piedi da ore. Ancora coricato, guardai a sinistra verso la mia ragazza, che stava dormendo, quando mi resi conto di non riuscire a muovere la testa. Provai quindi a muovere le spalle, ma anche quelle non risposero. Forse erano andate in vacanza. E come biasimarle? Erano anni che lavoravo senza tregua, senza respiro, come se la parola “vacanza” fosse stata abolita dal dizionario.
Provai ancora, invano.
Ero paralizzato.
Il mio corpo, per quanto cercassi di muoverlo, non si schiodava di un millimetro. La stanza era avvolta dall’oscurità. Pian piano, i miei occhi si adattarono al buio e iniziai a vedere delle forme attorno a me. In quel momento mi resi conto di non essere completamente paralizzato: riuscivo a muovere gli occhi.
“Meglio di niente!” pensai, a metà strada tra il divertimento e il puro terrore. Mi guardai intorno per cercare di capire la situazione.
Stavo sognando?
No, tutto mi pareva reale.
Era un sogno lucido?
Possibile.
Ai tempi dell’università feci una serie di esperimenti sul sonno, che mi portarono a scoprire questo fenomeno. Te ne parlerò bene in un altro capitolo. No, ciò che accadde quel giorno, 15 anni dopo i miei esperimenti, non era un sogno lucido. Ciò che stavo vivendo era un’esperienza nuova.
Il mio corpo era paralizzato, e una sorta di terrore sconosciuto mi iniziò a pervadere. Sdraiato sul letto, di fianco alla mia ragazza, con gli occhi spalancati, avevo un grosso punto di domanda sopra la testa, così feci l’unica cosa che potevo fare: guardarmi attorno.
Ero confuso. Non capivo cosa stesse succedendo, né perché. Osservavo l’ambiente attorno a me con calma, curiosità, e il terrore di prima iniziò a dissiparsi. Ispezionavo la stanza in penombra, illuminata attraverso la finestra dalla luna calante.
Dopo un po’, capii che non si trattava di un sogno e che quella condizione non era temporanea. Forse sarei rimasto così per sempre: paralizzato dalla testa ai piedi, capace di muovere solo gli occhi e le palpebre. Come Stephen Hawking, ma senza il suo genio per la fisica.
Non fu un pensiero, ma una consapevolezza. Una realizzazione silenziosa, immediata. Forse per questo non mi spaventò. Accettai la situazione senza resistenza, senza paura. Nessun terrore, nessun senso di ingiustizia. “Perché a me?!” avrei forse gridato il giorno prima. E invece, in quel momento, rimasi lì. Immobile, osservando la stanza, aspettando di vedere cosa sarebbe successo.
Poi, all’improvviso, sentii una voce provenire dalla mia sinistra. Cercai di girarmi, e vidi che la mia ragazza dormiva ancora profondamente. Sentii distintamente la voce di un uomo provenire da una scatola nera, cubica, grande circa venti centimetri.
La voce parlava con calma, ma con decisione, dando istruzioni come se stesse pronunciando una formula magica. Quando finì di parlare, un fascio di luce curva uscì dalla scatola e si congiunse alla mia testa, creando un tunnel tra due mondi.
In quell’istante, qualcosa entrò dentro di me. Dentro la mia testa.
Era una sensazione indescrivibile, come nulla che avessi mai provato. Neppure nei viaggi astrali sotto l’effetto di sostanze psichedeliche. Neppure nelle respirazioni olotropiche.
Questa luce, entrata nella mia testa, iniziò a trasformare il mio stato di coscienza. Sentii che la mia testa veniva squarciata dal centro, come se qualcuno l’avesse aperta con un’ascia vichinga. Il mio corpo scivolò via dai lati, come un serpente che si spoglia della sua pelle.
Quando il mio corpo di luce iniziò ad alzarsi, strappandosi dalla mia testa, provai il dolore più feroce che avessi mai conosciuto. Era assoluto, lacerante, come se la mia stessa essenza venisse divisa in due. Più la separazione avanzava, più la mia coscienza si tendeva, e il dolore cresceva, un crescendo insostenibile che culminò in un urlo capace di scuotere un intero universo.
Urlai.
Un urlo come mai prima nella mia vita. Era un grido silenzioso, eppure nella mia testa risuonava come il suono più assordante che avessi mai sentito, più forte di quanto le orecchie potessero percepire.
Era come l’urlo di Neo quando, dopo aver preso la pillola rossa, viene risucchiato nel tunnel meccanico di Matrix fino a risvegliarsi, sconvolto, nel mondo reale. Ma il mio grido non era meccanico. Era primordiale, un urlo atavico che risaliva dalle profondità della coscienza, come un’eco antica, proveniente dall’origine stessa della vita.
Durante tutto il processo, mentre la mia testa si apriva e il corpo scivolava ai lati, urlavo di un dolore indescrivibile. Sentivo la mia coscienza allungarsi, dividersi in due, come plastilina tirata da entrambi i lati, una parte verso il cielo, l’altra verso il letto dove giaceva il mio corpo.
Più si allungava, più il dolore aumentava.
Più urlavo, più sentivo di essere strappato via.
Qualcosa mi stava letteralmente lacerando. Il processo di separazione era insopportabile, come se la mia coscienza fosse tirata in due direzioni opposte con una violenza che sfida ogni descrizione.
A un certo punto, sentii che “io” mi ero separato dal mio “vecchio io”, rimasto con il corpo, che ora giaceva sul letto, diviso in due, senza vita, spiegazzato come vestiti abbandonati a terra.
In quel momento mi resi conto che non stavo più urlando.
Non sentivo più dolore.
Non sentivo più nulla.
Ero in piedi sul letto. Guardai in basso: il mio vecchio corpo giaceva immobile, accanto alla mia ragazza, nella stanza ora lontana. Poi osservai le mie mani—o meglio, ciò che avrebbe dovuto essere le mie mani. Non avevo più pelle, né dita, né dettagli riconoscibili.
Ero fatto di luce. Una luce dorata, luminosa, calda.
Un senso di pace assoluta mi avvolse, in totale contrasto con gli urli di dolore di pochi istanti prima. Rimasi sospeso, una coscienza pura, fluttuando sopra ciò che avevo lasciato indietro, finché, a un certo punto, tornai dentro il mio vecchio corpo e ne ripresi possesso.
Il rientro fu diverso dall’uscita. Nessuna lotta, nessun dolore. Semplicemente, vi scivolai dentro, come una goccia di sapone che si unisce a una bolla.
Quando riaprii gli occhi, questa volta con quelli fisici, mi guardai attorno e capii che potevo muovere leggermente la testa.
“Be’, progresso”, mi dissi.
Ma le sorprese non erano ancora finite.
Di fronte a me, sospesa nell’aria, si materializzò dal nulla una forma geometrica multidimensionale, grande circa trenta centimetri, in continuo movimento. Le sue dimensioni si piegavano incessantemente l’una dentro l’altra, mentre pattern di colori psichedelici, sfumati verso il rosa, ne decoravano la superficie.
In seguito, facendo qualche ricerca, scoprii che ciò che avevo visto somigliava a un incrocio tra un manifold di Calabi-Yau—utilizzato per rappresentare le undici dimensioni della Teoria delle Stringhe—e un dipinto di Alex Grey.


Vidi quella strana forma muoversi di fronte ai miei occhi, come un oggetto fisico nella stanza. Roteava dentro se stessa, intrecciandosi in canali multidimensionali. Non avevo la minima idea di cosa mi stesse accadendo, ma una cosa era certa:
Stavo vivendo l’esperienza
più incredibile della mia vita, e
non potevo distogliere l’attenzione,
neanche per un istante.
Poi, all’improvviso, la forma svanì in un singolo punto, senza lasciare traccia.
E ciò che accadde dopo fu ancora più incredibile.
Il viaggio continuerà la prossima settimana. Qui trovi i capitoli precedenti:
Che palle, pure l'autentificazione con il codice, ma perché?! Comunque, certo Federico, ciò che hai vissuto è incredibile, pazzesco. E sono sicura che non hai assunto droghe. In certi frangenti è il nostro stesso corpo a produrre le sostanze che ci servono per decodificare ciò che ci sta succedendo. Siamo una formidabile fabbrica di droghe naturali che ci elevano oltre ai limiti della realtà. Mi piace che tu abbia preso il coraggio di comunicarlo al mondo di chi ti conosce o anche di chi non ti conosce. Io ci percepisco come fratelli e sorelle, infinite scintille di luce che vogliono uscire da questa matrix, da questo allevamento di bestiame in cui siamo schiavizzati e le nostre energie positive o negative costituiscono il nutrimento di qualcuno. Siamo tutti piccole parti della fonte che ci ha pensato, ma siamo tanto potenti da cambiare coi nostri pensieri, le nostre osservazioni a livello quantistico, le sorti dell'umanità. Noi siamo i Re. Solo che la maggior parte di noi non lo sanno
Solo una esperienza così intensa è in grado di trasformare la coscienza addormentata e risvegliarla nella Coscienza Vigile. Le vicende della vita hanno un gusto più intenso . Federico 🤗